“Ero come la bella addormentata nel bosco. Mi sono persa una parte dell’adolescenza dei miei figli, ma sono contenta di essere qui a raccontare la mia storia”.
A parlare è Emma, una donna con disagio psichico che, grazie a un percorso lungo dieci anni, oggi vive una nuova vita: ha un lavoro e abita con la figlia venticinquenne, con cui sta recuperando il tempo perso.
La sua storia di malattia mentale comincia, clinicamente parlando, oltre dieci anni fa, quando si decide a rivolgersi ai servizi territoriali. Viene ricoverata all’Hermitage e poi a Villa Camadoli fino ad arrivare al presidio psichiatrico dell’Asl Napoli 1 Centro, il San Giovanni Bosco. Da quel momento, viene seguita costantemente dai medici: “Avevo difficoltà perfino a camminare – racconta la donna, oggi sessantenne – poi, piano piano, con l’aiuto fondamentale di medici e operatori, ho ripreso confidenza con la strada”.
Fino a sette anni fa, quando Emma viene inserita in un percorso di reinserimento sociale e di recupero delle sue abilità entrando a far parte del Gruppo-appartamento a Soccavo. È l’inizio della nuova vita di Emma: il Gruppo-appartamento è la sua casa dal 2010 al 2016, anno in cui il progetto termina per mancanza di fondi. Emma ci vive insieme a Susy ed Armida, due pazienti psichiatriche come lei, per le quali questa esperienza rappresenta il ritorno alla vita e alla socialità. Si tratta di una delle iniziative più significative degli ultimi anni che ha visto la stretta collaborazione tra Comune di Napoli (da cui era finanziato), Asl Napoli 1 Centro e gruppo di imprese sociali Gesco, e un lavoro integrato a più livelli. Forse il primo caso del genere a Napoli, dove privato sociale e pubblico si mettono insieme per offrire e la possibilità a tre donne con problemi di salute mentale, senza risorse economiche, casa e soprattutto riferimenti familiari, di recuperare se stesse, a partire dalla capacità di autogestire la propria vita quotidiana, all’interno di un luogo protetto e confortevole, seguite da figure sanitarie e sociali. Un progetto, fortemente sostenuto dall’allora direttore del Dipartimento Salute Mentale Fausto Rossano (scomparso a Napoli nel 2012), che lo considerava “pioneristico”.
Lo ricorda l’allora referente del Gruppo-appartamento per il gruppo Gesco Amalia Cleopatra: “Nella salute mentale bisogna sentirsi pioneri e credere nel recupero delle risorse personali nel rispetto della dignità della persona, il dottor Rossano lo diceva sempre negli incontri che si svolgevano al Dipartimento. L’obiettivo di questo progetto era il raggiungimento di autonomia di cui si sono sentite soggetti attivi queste donne, a volte con un vissuto molto doloroso, ognuna delle quali alla fine, in un modo o nell’altro, ha trovato la sua strada”. Contemporaneamente, infatti, a Emma, Susy e Armida, oltre all’abitare, è stata anche offerta l’opportunità di integrarsi e di essere avviate al lavoro attraverso tirocini formativi. Alla fine di questo percorso, Susy si è realizzata nell’andare a vivere nel suo quartiere, in cui ha anche preso casa, Armida è tornata in famiglia e oggi partecipa a diverse attività di socializzazione; questo grazie anche al lavoro che è stato fatto con i familiari.
Emma, invece, ha trovato lavoro nella cucina dell’Istituto per non vedenti e ipovedenti “Paolo Colosimo”: la chiamano “Emmuccia”, è perfettamente integrata nel contesto e voluta bene da tutti. “Posso raccontare questa storia grazie alle persone che mi hanno aiutata e sostenuta. Il Gruppo-appartamento mi ha fatto capire che ce la potevo fare, peccato che sia stato chiuso. Ce ne vorrebbero ancora di progetti simili”.
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Fonte: napolicittasolidale.it